Effetto Mandela, il falso ricordo

Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera

 

Per falso ricordo, false memory o effetto Mandela, si intende un ricordo, spesso comune a un gran numero di persone che, però, altro non è che una distorsione creata dalla memoria collettiva. La ricostruzione, riportata nella mente di molti, corrisponde infatti a un evento che non si è mai verificato nella realtà o a un particolare visivo che non è mai esistito o ad una completa distorsione della veridicità del fatto. Estranei sparsi per tutto il globo condividono, in pratica, un ricordo totalmente errato.

Queste immagini fallaci vengono anche dette “menzogne oneste” perchè sono diffuse senza alcun dolo: chi le porta avanti è infatti totalmente e seriamente convinto di dire la verità.

 

Perché si chiama effetto Mandela

Il nome dello strano fenomeno che riguarda la memoria si deve ovviamente a Nelson Mandela. O meglio, a un evento alquanto bizzarro che ha coinvolto l’ex Presidente del Sudafrica. Come tutti sanno, durante la segregazione razziale dovuta all’apartheid, Mandela trascorse oltre vent’anni in carcere. In molti ricordano che morì durante la sua detenzione. Nel 2009 la studiosa Fiona Broome ammise, nel corso di un convegno pubblico, di ricordare persino la trasmissione in diretta dei funerali negli anni ’80 e il discorso della vedova addolorata. Tra i presenti all’incontro erano tanti quelli che, come lei, ricordavano esattamente le stesse cose e, ancora oggi, sono moltissime le persone che possono giurare di aver visto il funerale in tv. Eppure Nelson Mandela morì all’età di 95 anni nel 2013 e non nel secolo scorso. Il che significa non solo che la sua scomparsa non è in alcun modo riconducibile al carcere – da cui è uscito vivo e vegeto – ma che, all’epoca del convegno in cui la news si diffuse, l’attivista e leader politico…era ancora vivo!

 

Cause psicologiche

Tra le principali cause psicologiche che possono incoraggiare la formazione di falsi ricordi si possono elencare:

  • l’influenza di persone care o autorevoli, per le quali si nutre stima e fiducia; un esempio può essere l’esperienza di Jean Piaget, importante psicologo infantile. Il primo ricordo di Piaget era di essere stato sequestrato all’età di due anni. Di questo episodio l’uomo ricordava diversi dettagli: si rivedeva in carrozzina mentre la sua baby-sitter si difendeva contro il delinquente; ricordava i graffi sul viso della donna e il poliziotto che con un bastone bianco aveva inseguito il rapitore. La storia era confermata dalla tata, dalla famiglia e da altri che ne erano a conoscenza. Piaget era così convinto di ricordare l’evento. In realtà, il tentato sequestro non era mai avvenuto: infatti, tredici anni dopo il presunto tentativo di rapimento, la prima tata di Piaget scrisse a suoi genitori per confessare di aver inventato l’intera storia. In seguito Piaget scrisse: «Devo dunque aver sentito, da bambino, il resoconto di questa storia… e devo averlo proiettato nel passato nella forma di una memoria visiva, che è la memoria di una memoria, ma è falsa».
  • una terapia insistente e suggestiva per recuperare ricordi perduti, come la RMT (recovered memory therapy) o anche l’ipnosi (anche se non è detto che i ricordi recuperati in seguito ad una terapia siano necessariamente falsi); infatti, se un terapista esercita pressione su un paziente o gli suggerisce puntualmente dei particolari nel momento in cui questi tarda a rispondere, allora il terapista può essere il responsabile della costruzione di un falso ricordo; infatti, il paziente, incalzato dalle domande, può sentirsi obbligato a completare il ricordo, arricchendolo così di particolari irreali, come ha dimostrato anche Frederic Bartlett[8]. Al termine di questo processo, è possibile che il paziente dimentichi l’origine dei particolari aggiunti e si convinca della genuinità del falso ricordo. Di conseguenza, coloro che lavorano nel settore della salute della mente devono essere consapevoli dell’enorme influenza che potrebbero esercitare sui loro pazienti, influenza che non può essere stimata con certezza e che varia da individuo a individuo. I terapisti devono quindi agire con moderazione e cautela in situazioni in cui l’immaginazione è utilizzata come supporto per recuperare memorie presumibilmente perse.